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 Correttivo 2024 e collegio consultivo tecnico: prime osservazioni

 di Francesco Goisis

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il perimetro oggettivo e soggettivo del CCT – 3.Il CCT come arbitrato irrituale: profili di rafforzamento della indipendenza e imparzialità del collegio. – 4. Precisazioni in punto di durata del CCT. –  5. Il nuovo art. 216: un rafforzamento dell’obbligatorietà in senso forte del CCT e le criticità del testo legislativo. –  6. Il problema della domanda di parte nella proposizione dei quesiti e della distinzione tra le diverse categorie di pronunciamenti del CCT. –  7. Il rapporto con l’accordo bonario. – 8.    Il “nuovo” Allegato V.2. –  9. La disciplina intertemporale. – 10. Conclusioni.   

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1. Introduzione.

La disciplina del Collegio consultivo tecnico (CCT)- artt. 215-219 e Allegato V.2 – è stata in non pochi punti modificata dal Correttivo (d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209).

La relazione illustrativa parla di necessità di affrontare, tramite il nuovo intervento legislativo, “incertezze applicative relative al perimetro della sua attività, nonché sui relativi presupposti di istituzione, attivazione e modalità operative”, nonché di fornire  chiarimenti “in merito alla natura giuridica delle determinazioni del CCT in relazione alla possibile esperibilità del c.d. accordo bonario nonché ai i limiti temporali della sua operatività e alle modalità di calcolo e computo dei compensi spettanti ai componenti del collegio”.

Se molti interventi correttivi sono stati in realtà meramente formali, altri rivestono maggiore interesse pratico e sistematico. 

2. Il perimetro oggettivo e soggettivo del CCT.

Soffermandosi sui profili di maggior interesse, e quindi partendo dal campo di applicazione oggettivo e soggettivo del CCT, l’obbligatorietà dei CCT è ora limitata ai contratti pubblici, inclusi quelli misti e realizzati tramite concessione e partenariato, con valore dei lavori superiori alla soglia di rilevanza comunitaria. Quanto ai contratti pubblici di forniture e servizi di qualsiasi valore, l’attivazione del CCT è ormai facoltativa, ossia rimessa alla volontà delle parti. 

In effetti, i CCT nel settore delle forniture e dei servizi, introdotti solo nel 2023, non erano mai “decollati” e la relativa disciplina poneva diversi interrogativi: il quadro normativo del CCT è sempre stato pensato per lo specifico settore dei lavori, senza alcuna reale attenzione per le particolarità di servizi e forniture; la scelta, dunque, era tra un adattamento della disciplina anche a forniture o servizi, o la sostanziale soppressione del CCT per questi ultimi, e la seconda opzione ha prevalso.

Viene, d’altro canto, opportunamente esplicitata (nonostante qualche perplessità emersa in sede parlamentare) l’estensione del CCT anche ai settori speciali. Si è infatti  introdotto, nell’art. 141 (co. 3, lett.  i-bis), un riferimento agli “articoli da 215 a 219”, resi quindi indubbiamente (ed obbligatoriamente) operativi anche nei settori speciali per i lavori soprasoglia. Ciò nonostante le resistenze finora incontrate nella prassi, ma in coerenza con un’opzione interpretativa già affermata dal Ministero delle Infrastrutture  dei Trasporti (“MIT”).

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Si noti che il neo-codificato accordo di collaborazione di cui all’art. 82-bis – le cui funzioni manutentive del rapporto contrattuale sono in parte sovrapponibili a quelle del CCT – è stato opportunamente “subordinato” funzionalmente al CCT: difatti, all’art. 4, co. 2 del nuovo Allegato II.6 (in tema di accordi di collaborazione), è esplicitato che “In caso di costituzione di un collegio consultivo tecnico ai sensi degli articoli 215 o 218 del codice, le parti dell’accordo di collaborazione sono tenute ad osservare i pareri e le determinazioni del collegio, ove incidenti su aspetti da esso regolati”.

In tal modo, sembra assistersi anche ad un espresso ampiamento soggettivo dell’efficacia delle deliberazioni del CCT, estese a tutte le parti dell’accordo di collaborazione. Quest’ultimo, difatti, coinvolge non solo le parti del contratti di appalto o di concessione, ma anche tutte le altre “parti coinvolte in misura significativa nella fase di esecuzione di uncontratto di lavori, servizi o forniture…”: ebbene, anch’esse sono “sono tenute ad osservare i pareri e le determinazioni del collegio”. 

Il che, a dire il vero, avrebbe suggerito di affrontare il tema (trascurato dal legislatore) su come coinvolgere le parti diverse da quelle del contratto principale nel procedimento di CCT, assicurando, anche a loro tutela, un minimo di contraddittorio. In ogni caso, pare da escludersi un’estensione soggettiva diretta della portata arbitrale delle determinazioni del CCT, atteso il necessario fondamento volontario dell’arbitrato, su cui ci soffermeremo. 

3.Il CCT come arbitrato irrituale: profili di rafforzamento della indipendenza e imparzialità del collegio.

Degna di nota è anche la valorizzazione della natura arbitrale (irrituale) del CCT, ove chiamato ad emanare determinazioni su controversie contrattuali.

Più nel dettaglio, contribuendo a risolvere la discussione dottrinale in corso sulla natura del CCT nella sua veste “arbitrale”, nel comma 1, primo periodo, dell’art. 215 è inserito un riferimento alla finalità di  “garantire l’indipendenza di giudizio e valutazione” del CCT, così rispondendo alle critiche in punto di preteso difetto di terzietà del collegio (che, in tesi, avrebbe impedito di ritenerlo un vero arbitrato irrituale).

Nella stessa ottica di rafforzamento della indipendenza del collegio, all’art. 2, co. 4, dell’Allegato V.2, viene prevista la possibilità di proporre una istanza di ricusazione dei componenti del CCT al presidente del Tribunale ordinario ai sensi dell’art. 810 c.p.c.. Tale istanza sarà però proponibile solo sulla base di asserite incompatibilità di un membro del collegio, quali dettagliate, senza particolari novità (salvo il loro carattere tassativo, in virtù dell’inserimento dell’avverbio “esclusivamente), dallo stesso art. 2. 

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Non sfugge, tuttavia, che (i) la ricusazione è prevista dal Codice di rito solo per l’arbitrato rituale, (ii) la giurisprudenza ne esclude l’estendibilità analogica all’arbitrato irrituale, in quanto la terzietà non costituirebbe, per quest’ultimo, principio di ordine pubblico e, comunque, (iii) l’art. 815 c.p.c. prevede (per l’arbitrato rituale) un regime di incompatibilità molto più rigoroso di quello previsto per i membri del CCT; ad esempio, mai un dipendente di una delle parti della controversia potrebbe essere nominato arbitro rituale, mentre tale possibilità è espressamente prevista nel caso del CCT, in relazione ai componenti “semplici” e quindi indubbiamente consentita.

Insomma, al di là delle enunciazioni di principio, la garanzia dell’indipendenza rimane essenzialmente riferita al presidente del CCT, visto che esclusivamente per esso vale l’incompatibilità per chi abbia “svolto con riguardo ai lavori o servizi oggetto dell’affidamento, attività di collaborazione nel campo giuridico, amministrativo o economico per una delle parti”. 

Il testo del Correttivo approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri prevedeva, in realtà, una estensione di tale incisiva causa di incompatibilità a tutti i componenti. Esso è stato però modificato su richiesta di ANCE, recepita anche nel parere del Senato, la quale paventava ricadute negative per le imprese, che non avrebbero più potuto indicare come propri rappresentati nel CCT i professionisti di fiducia già coinvolti in una determinata commessa.

In ogni caso, operando il CCT a maggioranza, ed essendo i componenti semplici nominati da ciascuna parte, è proprio il presidente, di regola, ad avere l’ultima parola, così assicurando, in concreto, un adeguato livello di indipendenza/terzietà del collegio.

In sostanza, il legislatore sembra essersi ispirato alla tesi per cui, quale unica condizione davvero necessaria per la tenuta del procedimento arbitrale sul piano della imparzialità, le procedure di nomina degli arbitri debbano salvaguare la parità delle parti: in altri termini, una nozione di imparzialità arbitrale dipendente non dalle eventuali relazioni tra gli arbitri e le parti del procedimento, ma affidata ad un principio di uguaglianza delle parti nella formazione del collegio arbitrale.

Semmai, in tale ottica appare discutibile la scelta del Correttivo di consentire sempre al MIT la nomina di un componente nei CCT nelle opere da quest’ultimo anche parzialmente finanziate (art. 1, co. 2, Allegato V.2: “Nei casi in cui il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti partecipa al finanziamento della spesa nomina un componente del Collegio con le modalità di cui al presente comma”). Se quel che si vuole dire è che tale membro di nomina ministeriale si aggiunge a quello di ordinaria nomina pubblica, si rischia così la creazione di un organo sbilanciato verso la parte pubblica e, con ciò, incapace di una credibile funzione conciliativa e arbitrale.

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Sempre a presidio dell’indipendenza del CCT, si prevede la non revocabilità dei membri per opera delle parti. La previsione appare particolarmente incisiva, atteso che anche per gli arbitri irrituali è ammessa la revocabilità per giusta causa, ex art. 1726 c.c..

Di nuovo, trattasi di profilo dal chiaro rilievo sistematico: una recente giurisprudenza aveva invero affermato la riconducibilità del CCT ad un rapporto fiduciario di mandato, con conseguente revocabilità del componente una volta venuto meno il rapporto fiduciario.

In sostanza, nel complesso, pare confermata (e rafforzata) la qualificazione del CCT come collegio arbitrale irrituale sui generis, in cui la terzietà/indipendenza del collegio (pur specificamente presidiata) risulta tuttavia (come peraltro usuale nel comune arbitrato irrituale) attenuata rispetto al modello dell’arbitrato rituale.

D’altra parte, i membri del CCT, a garanzia della funzionalità del collegio, non possono dimettersi se non per giusta causa o giustificato motivo (art. 5, co. 3 r 4, dell’Allegato V.2). 

Tra le ragioni che giustificano le dimissioni del componenti del CCT, debbono certamente enumerarsi il mancato puntuale pagamento di quanto dovuto al CCT (secondo parametri non derogabili in pejus dalle parti, nemmeno nell’esercizio di pretese potestà regolamentari, secondo quanto esplicitato dall’art. 1, co. 5, dell’Allegato V.2, secondo cui “Il compenso è corrisposto a tutti i componenti del CCT indipendentemente dal rapporto intercorrente tra ciascun componente e le parti contrattuali ed è sottoposto esclusivamente ai limiti previsti dalla legge”), nonché la mancata collaborazione delle parti, che debbono mettere il CCT in condizioni di operare in modo informato ed efficace, ad es. fornendo ad esso idonea documentazione e assistenza informativa.

Resta il fatto che non risultano risolti due dei problemi di fondo che possono indurre i componenti del CCT alle dimissioni: ossia (i) la mancata previsione (al di là dell’enunciazione di principio dell’art.1, co. 4, dell’Allegato V.2 che parla di compenso “proporzionato al valore dell’opera, al numero, alla qualità e alla tempestività delle determinazioni assunte”) di un compenso realmente rapportato alla qualità e quantità dell’attività svolta, con la conseguenza che, dopo un numero anche limitato di determinazioni, può facilmente risultare esaurito il tetto massimo dei compensi del singolo componente, che l’art. 1, co. 5, ribadisce pari alla misura massima di un triplo della parte fissa e, allo stesso tempo, (ii) il divieto di partecipare contemporaneamente a più di cinque CCT  e, nell’arco di due anni, di far parte di più di dieci CCT (art. 5, co. 1, dell’Allegato V.2; i limiti sono stati mantenuti, nonostante il diverso, motivato, avviso del Senato), che può determinare la penalizzante (e di dubbia conformità al principio di proporzionalità) conseguenza della partecipazione a CCT infruttiferi e, allo stesso tempo, preclusivi di altri CCT retribuibili.

4. Precisazioni in punto di durata del CCT.

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Anche in connessione al divieto di dimissione senza giusta causa o giustificato motivo, opportuno appare il chiarimento sul momento in cui l’esecuzione contrattuale è da intendersi conclusa e, con ciò, il CCT sciolto: ossia, ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’art. 219, la “data della sottoscrizione dell’atto di collaudo o regolare esecuzione, salvo che non sussistano riserve o altre richieste in merito al collaudo medesimo; in quest’ultimo caso, il collegio è sciolto con l’adozione della relativa pronuncia”. 

La previsione non affronta però il problema, anch’esso di interesse pratico, della sorte del CCT in caso di eventi che portino alla inefficacia anticipata del rapporto contrattuale (ad esempio, recesso e risoluzione)

A tal riguardo, la principale questione è se il CCT risulti automaticamente sciolto (dopo aver reso, nel caso della risoluzione, un parere obbligatorio preventivo), oppure possa/debba pronunciarsi sulle controversie nascenti da tali vicende, spesso non prive di significativi profili contenziosi. 

Sul punto, pare utilmente ipotizzabile un’applicazione analogica della previsione dell’art. 219, co. 1-bis, per cui la sussistenza di riserve o altre richieste in merito all’atto conclusivo del rapporto contrattuale determina la persistente operatività del CCT. 

 5. Il nuovo art. 216: un rafforzamento dell’obbligatorietà in senso forte del CCT e le criticità del testo legislativo.

Venendo al profilo forse più rilevante per il CCT dell’intero Correttivo, risulta significativamente ampliato l’ambito dell’intervento obbligatorio del CCT, così opportunamente rafforzandone la funzione pubblicistica (e quindi indisponibile) di assicurare la pronta ed esatta realizzazione delle opere pubbliche, indipendente dalla volontà delle parti di adirlo.

Difatti, l’art. 216, co. 1, viene così modificato: “Nei casi di iscrizione di riserve, di proposte di variante e in relazione ad ogni altra disputa tecnica o controversia che insorga durante l’esecuzione di un contratto di lavori di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, è obbligatoria l’acquisizione del parere o, su concorde richiesta delle parti, di una determinazione del collegio. Se le parti convengono altresì che le determinazioni del collegio assumono natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del Codice di procedura civile, è preclusa l’esperibilità dell’accordo bonario per la decisione sulle riserve”.

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In sostanza, la norma mira a rendere doverosa l’attivazione del CCT, a fronte di una controversia di qualsiasi genere (di carattere giuridico o tecnico, ed oggetto, o meno, di riserva), coerentemente chiarendo che la determinazione con natura arbitrale preclude altri rimedi di ADR (e in specie l’accordo bonario).

La previsione è da salutare con favore, nella misura in cui si muove nella direzione di una obbligatorietà in senso “forte” del CCT su lavori soprasoglia.

In questi casi, apparirebbe anzi ragionevole (anche se il legislatore non lo dice espressamente) che il Collegio possa/debba deliberare anche d’ufficio. Ciò è peraltro suggerito, sul piano letterale, dal fatto che l’art. 4, co. 1, dell’Allegato V.2 non commina alcuna nullità per il parere emesso senza domanda di parte e, sul piano sostanziale, dall’osservazione che se il legislatore vuole che su un determinato profilo il CCT si pronunci, non si vede perché si dovrebbe impedirne tale (inderogabile) attività nelle (pur presumibilmente limitate) ipotesi in cui, al di fuori di un formale quesito, il Collegio venga a conoscenza di fatti che ne richiedono l’intervento.

Non mancano però profili francamente critici nel nuovo art. 216, co. 1. Come vedremo, essi rischiano addirittura di mettere in crisi la funzionalità dei CCT.

Non è ben chiaro, anzitutto, perché si sia prevista la necessità  di una “concorde richiesta delle parti” per la determinazione.

Sul punto, si è presumibilmente seguito il rilievo del parere del Consiglio di Stato sulla versione preliminare del Correttivo: ivi si proponeva di specificare “al fine di fugare ogni dubbio in ordine alla compatibilità con il divieto costituzionale di arbitrato obbligatorio”, che “il collegio consultivo tecnico interviene con “determinazione” solo ove vi sia una richiesta congiunta in tal senso delle parti, con l’ulteriore specificazione che tale determinazione avrà natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del Codice di procedura civile a condizione che le parti medesime convengano ulteriormente espressamente di attribuirvi tale valore. Fuori di tale ipotesi la forma ordinaria di pronuncia obbligatoria del collegio consultivo tecnico resterebbe, invece, il parere (anche su istanza di una sola delle parti).”. 

Tuttavia, a tal riguardo, va anzitutto notato come, ai sensi della disciplina generale (e, fino al Correttivo, unica) del CCT, la richiesta di determinazioni e pareri non richieda affatto una volontà concorde delle parti, inequivocabilmente bastando la richiesta anche di una sola delle parti: “Il procedimento per l’espressione dei pareri o delle determinazioni del CCT può essere attivato da ciascuna delle parti o da entrambe congiuntamente” (art. 4, co. 1 dell’Allegato V.2). 

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Non si comprende quindi perché dovrebbe essere altrimenti solo nelle – peraltro ormai del tutto pervasive – ipotesi di cui all’art. 216. Si così fosse, la regola generale diventerebbe, a ben vedere, quella della necessità di una richiesta congiunta nella quasi totalità dei casi.

D’altra parte, la regola di cui  art. 4, co. 1 dell’Allegato V.2 (ossia quella della sufficienza di una sola richiesta) pare del tutto ragionevole e coerente con il sistema generale della tutela giurisdizionale e delle ADR. Sfugge dunque perché dovrebbe risultare derogata proprio quando  è addirittura necessario un parere obbligatorio e, quindi, il legislatore sembra semmai manifestare l’idea della particolare utilità (e anzi essenzialità) dell’intervento del CCT. Non è chiaro, allora, perché, proprio in tali circostanze, il CCT dovrebbe essere depotenziato nella portata delle sue pronunce, in mancanza di una richiesta congiunta.

Passiamo ora alla necessità della richiesta congiunta per la determinazione arbitrale (peraltro, si noti, a dimostrazione di una certa approssimazione del testo legislativo, subito smentita dallo stesso art. 216, co. 4, ove in tema di parere obbligatorio sulle sospensioni per gravi ragioni tecniche, riemerge la regola originaria per cui “In tal caso la pronuncia assume l’efficacia di lodo contrattuale solo se tale possibilità non sia stata espressamente esclusa ai sensi di quanto disposto dall’articolo 217”).

Qui il vero problema (ed equivoco) è che un conto è la obbligatorietà del CCT per i lavori soprasoglia (che riflette la sua funzione pubblicistica, ossia la sua preordinazione alla realizzazione del principio del risultato nella fase esecutiva); altro è la questione della volontarietà dell’arbitrato: quest’ultima è pienamente assicurata (come nella comune esperienza delle clausole arbitrali) ove la opzione arbitrale sia manifestata congiuntamente e liberamente ab origine, in sede di costituzione del CCT. Salvo voler (impropriamente) assimilare i due profili, nessun bisogno, dunque, di ulteriori, congiunte, manifestazioni di volontà, ogni qual volta sorga una concreta controversia da portare  all’attenzione del collegio nella sua veste  arbitrale.

Tanto più che l’art. 3, c. 3, dell’Allegato V.2, nel disciplinare l’insediamento del CCT, stabilisce che “Nel verbale della seduta d’insediamento, …, se le parti non si siano avvalse della facoltà di escludere che le determinazioni del Collegio assumano natura di lodo contrattuale, sono precisati termini e modalità di svolgimento del contraddittorio, specificando il dies a quo della decorrenza del termine di quindici giorni per la pronuncia del lodo”.

Se ne desume allora che – come del resto esplicitato nelle Linee Guida 2022 (par. 3.2.2: “il CCT può operare come collegio arbitrale ai sensi e per gli effetti dell’art. 808 ter c.p.c. solo se il consenso in tal senso sia stato ritualmente prestato dalle parti ai sensi dell’art. 6, comma 3, quarto periodo”) – contenuto necessario della prima riunione di insediamento sia proprio, tra l’altro, la scelta se attribuire o meno valore arbitrale alle determinazioni del CCT (perché da ciò derivano conseguenze quanto alle regole di funzionamento del CCT, da determinare in tale sede). La relativa scelta è dunque, in realtà, tutt’altro che implicita (ossia per silenzio assenso), ma finisce per (dover) essere dichiarata a verbale, assumendo quindi una forma addirittura solenne.

Non convince, quindi, il problema (sollevato dal Consiglio di Stato e da alcune voci dottrinali e presumibilmente alla base del testo del nuovo art. 216) del preteso carattere non totalmente volontario dell’arbitrato. 

Anche in questo caso, d’altro canto, la disciplina è quantomeno poco coordinata, visto che l’art. 217, co. 1, primo periodo, in tema di pareri e determinazioni facoltative, esplicitamente ancora afferma la sufficienza della scelta ab origine sulla natura arbitrale delle determinazioni, senza alcun bisogno di successive manifestazioni di volontà, tantomeno congiunte (“Quando l’acquisizione del parere o della determinazione non è obbligatoria, le determinazioni del collegio consultivo tecnico assumono natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del codice di procedura civile se le parti, successivamente alla nomina del Presidente e non oltre il momento dell’insediamento del collegio, non abbiano diversamente disposto”) e, coerentemente, l’art. 3. co. 2, secondo periodo, dell’Allegato V.2, di nuovo menziona, in termini generali, la circostanza che nella “seduta d’insediamento del Collegio” i legali rappresentanti delle parti siano “tenuti a rendere a verbale dichiarazione in merito alla eventuale volontà di non attribuire alle pronunce del Collegio valore di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del codice di procedura civile”. 

Ora, se si trattasse davvero di un problema costituzionale, non si comprenderebbe perché esso dovrebbe porsi solo per le pronunce obbligatorie (diverse da quelle sulle sospensioni per gravi ragioni tecniche) e non invece per quelle facoltative. Ciò salvo immaginare, come già osservato, una (tutt’altro che persuasiva) sovrapposizione tra carattere obbligatorio della pronuncia del CCT e, invece, pretesa obbligatorietà dell’arbitrato.

 6. Il problema della domanda di parte nella proposizione dei quesiti e della distinzione tra le diverse categorie di pronunciamenti del CCT.

Va, infine, segnalato un ulteriore difetto di coordinamento tra art. 216 e art. 4, co. 1, dell’Allegato V.2, che continua a prevedere (come già il par. 4.1.3 delle Linee Guida 2022) che “In nessun caso il CCT può pronunciare in assenza dei quesiti di parte; l’inosservanza di tale divieto comporta la nullità delle determinazioni eventualmente assunte. Se l’appaltatore, al fine di non incorrere in decadenze, iscriva riserve senza formulare anche il relativo quesito al CCT, il quesito deve essere formulato dal responsabile del procedimento se la riserva è tale da incidere sulla regolare esecuzione dei lavori”.

Ora, se ormai ogni riserva comporta (almeno) un parere obbligatorio, sfugge perché mai il dovere per il RUP di sollevare d’ufficio il quesito su una riserva dovrebbe essere subordinato ad una valutazione di incidenza sulla regolare esecuzione dei lavori. Evidentemente tale dovere sussiste sempre, essendo il RUP chiamato a garantire la legittimità della fase d’esecuzione, e quindi a richiedere d’ufficio pronunce obbligatorie.

Per coordinare l’art. 216, co. 1 e l’art. 4, co. 1, dell’Allegato V.2, bisognerebbe allora ritenere che quest’ultima previsione si riferisca solo a delle determinazioni “in senso stretto”, intese come deliberazioni del CCT, di natura arbitrale o meno, diverse dai pareri obbligatori.

In tal senso potrebbe essere valorizzato il dato letterale l’art. 4, co. 1, terzo periodo, dell’Allegato V.2 laddove si parla di “determinazioni”, peraltro con specifico ed esclusivo riferimento alla nullità in caso di pronuncia senza richiesta di parte.

Tuttavia, anche in tale prospettiva, non sarebbe facile convincersi della razionalità sistematica della previsione. Ed invero, venendo ad un ulteriore punto delicato, tra un parere obbligatorio su una riserva/controversia e una determinazione collegiale priva di valore arbitrale non dovrebbe esservi una reale differenza di regime, contenuto ed efficacia. 

A ben vedere, il parere obbligatorio sulla riserva non può (così come la determinazione) che vertere, appunto, sulla fondatezza della riserva, ossia sul merito delle reciproche posizioni delle parti della controversia e, soprattutto, l’art. 215, co. 3, non pare fare alcuna differenza tra pareri ex art. 215 e, rispettivamente, ex art. 216, prevedendo espressamente  che “L’inosservanza dei pareri o delle determinazioni del collegio consultivo tecnico è valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali”.  

Vero che la esclusione della responsabilità per danno erariale è letteralmente riferita, dall’art. 215, co. 3, alle sole determinazioni (“L’osservanza delle determinazioni del collegio consultivo tecnico è causa di esclusione della responsabilità per danno erariale, salva l’ipotesi di condotta dolosa”), ma questo appare, con tutta probabilità, un mero refuso, visto che sarebbe irragionevole che il parere, ove non seguito, comportasse (come reso esplicito dall’art. 215, co. 3), in negativo,  un “grave inadempimento degli obblighi contrattuali” e una ragione di possibile “responsabilità del soggetto agente per danno erariale”, ed invece non incidesse, in positivo, sulla responsabilità erariale, determinando un’esenzione.

Non a caso, le originarie scelte legislative di cui all’art. 6, co. 3, secondo periodo, del D.L 16 luglio 2020, n. 76 parlavano solo di determinazioni, senza alcun riferimento ai pareri, e dalla qualità di determinazione (anche non arbitrale) derivava il carattere semi-vincolante, con i noti incentivi a conformarsi sia di tipo negativo (responsabilità) che positivo (esenzione da responsabilità erariale): era insomma indubbio che il fatto di conformarsi ad una pronuncia non vincolante sulle riserve o altre controversie esimesse dalla responsabilità contabile. 

In effetti, l’unica distinzione utile sul piano del contenuto tra le diverse pronunce del CCT sembrerebbe quella tra determinazioni aventi ad oggetto una controversia ed invece meri pareri, estranei alla risoluzione di una controversia, o, in ogni caso, essenzialmente attinenti all’esercizio della funzione di cura della esecuzione e prosecuzione del contratto da parte della Stazione appaltante e quindi solo collegati all’esecuzione contrattuale, senza però investirne direttamente le controversie “paritarie” (si pensi a quelli, obbligatori, sulle sospensioni e sulle proroghe, previsti dall’art. 121, co. 3 e 8, nonché a quelli su risoluzione e modalità di prosecuzione dei lavori, di cui all’art. 217, co. 1). 

Non a caso, alcuni di questi pareri sono anche espressamente esclusi dalla possibilità di valere come lodi arbitrali. Il che si comprende proprio perché (e nella misura in cui) non attengono (almeno di per sé) a controversie, o, quantomeno, a controversie paritarie: è il caso dei pareri sulla risoluzione, sulla sospensione coattiva o sulle modalità di prosecuzione dei lavori (comprese scelte di chiaro tenore autoritativo, ossia quella relative alla selezione del soggetto con cui continuare i lavori), per i quali, ex art. 217, co. 1, è appunto preclusa l’arbitrabilità.

Su tali profili non certo del tutto nitidi della disciplina, il Correttivo avrebbe potuto e dovuto fare chiarezza.

Al contrario, esso, all’art. 216, co. 1, ossia solo in relazione alle pronunce obbligatorie del CCT (peraltro destinate a diventare la massima parte), (i) sembra implicare una pretesa distinzione quanto ai presupposti procedurali e presumibilmente, ai contenuti e agli effetti, tra pareri “in senso stretto” e determinazioni non arbitrali e, ancora, (ii) mette in discussione la scelta  per cui la opzione per il carattere arbitrale o meno delle future determinazioni debba essere compiuta ab origine

Quanto sopra finisce per creare una disciplina francamente contraddittoria e poco funzionale proprio rispetto al profilo all’evidenza più rilevante del CCT: ossia quello funzionale, delle pronunce che il collegio può e deve deliberare e dei relativi presupposti di iniziativa procedurale. Non sfugge, allora, il rischio di comportamenti opportunistici delle parti, che potrebbero, di volta in volta, negare il loro consenso ad una pronuncia con pienezza di efficacia, presumibilmente sulla base di una valutazione prognostica  in ordine al relativo esito. Un po’ come se in un giudizio già in corso ciascuna delle parti potesse impedire al giudicante di decidere la lite, sulla base di una propria valutazione del rischio di soccombenza.

 7. Il rapporto con l’accordo bonario.

Problemi applicativi possono nascere anche dalle previsione dell’art. 216, co. 1, secondo periodo, per cui solo in caso di opzione arbitrale, “…è preclusa l’esperibilità dell’accordo bonario per la decisione sulle riserve”. 

Ora, se è certamente condivisibile (e a ben vedere ovvio) che in caso di scelta per determinazioni arbitrali non vi possa essere alcuno spazio per procedure di accordo bonario, sfugge, parimenti, che utile ruolo possa svolgere questa procedura a fronte di pareri (o determinazioni non arbitrali, sempre che abbia senso la distinzione) del CCT, già resi o da rendere in tempi velocissimi: al parere del CCT rischierebbe solo di sovrapporsi una diversa proposta di accordo bonario. 

Tuttavia, anche pareri/determinazioni non arbitrali del CCT, lo sappiamo, sono semi-vincolanti, nel senso di obbligare le parti a conformarvisi, salvo, altrimenti, in negativo, il rischio di responsabilità erariale e/o contrattuale e, in positivo, l’impossibilità di godere di un’esenzione da responsabilità erariale.

Quindi, al di là della oggettiva confusione che sarebbe creata dalla ipotetica presenza di pareri non coerenti, non è chiaro perché la Stazione appaltante dovrebbe decidere di seguire la proposta di accordo bonario, in alternativa alla (difforme) deliberazione del CCT. Tra un parere semi-vincolante, quello del CCT, e una proposta in alcun modo vincolante, quella di accordo bonario, la prevalenza dovrebbe sempre spettare, anche in una logica strettamente ordinamentale, al primo.

Insomma, i due sistemi di ADR dovrebbero ritenersi sempre (ossia anche ove il CCT non abbia veste arbitrale) alternativi, per intuibili ragioni di economia procedimentale e coerenza generale del sistema delle ADR negli appalti pubblici.

8.    Il “nuovo” Allegato V.2.

Il Correttivo ha poi proceduto ad una sostituzione integrale dell’Allegato V.2. 

Al di là di quanto già riferito, tuttavia, le modifiche rispetto al precedente complesso normativo (Allegato V.2 più Linee Guida del Consiglio superiore dei lavori pubblici approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili del 17 gennaio 2022) non sono particolarmente significative:  in buona sostanza, sono state incorporate  nell’Allegato, con alcuni adattamenti, alcune delle previsioni delle Linee Guida 2022, oltre che le disposizioni relative ai tetti sui compensi disciplinate dall’articolo 6, comma 7-bis, del decreto-legge n. 76 del 2020. Ciò al condivisibile fine di mettere a disposizione degli operatori un unico testo normativo, finalmente di rango legislativo ordinario e quindi di indubbia adeguatezza nel sistema delle fonti.

Peraltro, il rilievo delle Linee Guida 2022 non è, ad oggi, certo venuto completamente meno. 

Difatti, l’art. 1, co. 6, dell’Allegato V.2 continua a rinviare a queste ultime per la determinazione del compenso, nelle more dell’approvazione di un apposito decreto ministeriale contenente nuove linee guida. Con il che la disciplina di dettaglio del CCT appare ancora parzialmente incerta e comunque divisa tra più fonti, visto che, almeno per “la parte relativa alla determinazione dei compensi” continuano, dichiaratamente, a trovare applicazione sia l’art. 1 dell’Allegato V.2 che, in via residuale, le Linee Guida 2022. 

D’altra parte, profili tutt’altro che marginali, quali ad es. i presupposti e le tempistiche del diritto al compenso, rimangono, ad oggi, esclusivamente disciplinati dalle Linee Guida 2022. Quest’ultime paiono quindi destinate a continuare a svolgere un ruolo che va, in realtà, al di là del profilo della mera determinazione dei compensi.

Invero, il nuovo complesso normativo non risolve alcuni profili interpretativi rilevanti, emergenti dalla stessa attività di consulenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (“MIT”)

Ad esempio, il MIT ha recentemente chiarito che per la determinazione dei compensi si debba guardare alla base d’asta, non al valore del contratto dopo il ribasso d’asta. Diverso avviso ha invece espresso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il che dà un’idea della incertezza su punti  non secondari della materia.

In sostanza, se gran parte delle questioni interpretative hanno in concreto riguardato il problema dei compensi, proprio su di ciò si è omesso di fare chiarezza, rinviando a future linee guida. 

 9. La disciplina intertemporale.

La Relazione governativa ricorda che “per assicurare certezza nei rapporti giuridici, è stata colmata una lacuna in merito alla mancata definizione del regime transitorio applicabile, anche in ordine alle disposizioni dell’Allegato V.2”.

In effetti, se con l’entrata in vigore del Codice del 2023, l’art. 224, co. 1 prevedeva che le disposizioni di cui agli articoli da 215 a 219 si applicassero anche ai collegi già costituiti ed operanti, senza quindi richiamare espressamente anche l’Allegato V.2, a cui peraltro già rinviava e rinvia l’art. 215, co. 1, il regime transitorio, stabilito dal nuovo art. 225-bis, co. 3, menziona direttamente anche l’Allegato V.2.

Ma al di là di questo (probabilmente superfluo) chiarimento, le novità non sono finite. 

Il nuovo regime transitorio è caratterizzato anche da un approccio meno impositivo: per gli i lavori, le novità del Correttivo in tema di CCT trovano subito applicazione (ossia anche ai CCT in corso, fin dal 31 dicembre 2024), “in assenza di una espressa volontà contraria delle parti”.

Dunque, in caso di silenzio delle parti prevale la nuova disciplina. 

La mancanza di un termine entro cui eventualmente manifestare la scelta per la precedente normativa rende peraltro la previsione di incerta applicazione, atteso che non è stabilito da quando il silenzio possa dirsi “significativo”. 

Sul punto si può ipotizzare che le parti abbiano l’onere di dichiarare la loro volontà contraria all’applicazione della nuova disciplina non oltre la prima riunione utile del CCT successiva al 31 dicembre 2024, ovvero anche prima, laddove, pur essendo già sorte ipotesi di intervento obbligatorio del CCT ai sensi del nuovo art. 216, co. 1, nondimeno non intendano sottoporre il quesito al CCT sulla base della non obbligatorietà dell’adempimento ai sensi della precedente normativa. 

Venendo ad altri profili del regime transitorio di non immediata interpretazione, non è chiarito se per la permanenza della precedente disciplina sia richiesta la volontà di entrambe le parti, o basti la volontà espressa anche di una di esse.

L’uso del plurale (“le parti”) sembra alludere ad una volontà di tutte le parti, perché altrimenti il legislatore avrebbe usato il singolare. 

Una tale lettura appare peraltro anche coerente con la funzione primariamente pubblicistica del CCT: quest’ultima mal si attaglia ad una facoltà delle parti di decisione in ordine all’applicazione di misure di razionalizzazione/rafforzamento dell’istituto e quindi induce, almeno, a neutralizzare la portata della volontà di una singola parte, magari semplicemente diretta a depotenziare un CCT in corso, impedendogli di svolgere appieno il suo ruolo pubblicistico di attuazione del principio del risultato.

Ed ancora, è da chiedersi se le parti siano da intendersi esclusivamente come le parti del contratto pubblico, o, al contrario, anche i membri del CCT (in quanto parti del relativo procedimento e rapporto contrattuale di ADR) possano, ove ritengano la nuova disciplina penalizzante (ad esempio sotto il profilo delle riduzioni dei compensi per gli appalti di valore elevatissimo o della perdita della libertà di dimettersi), obiettare alla sua applicazione, e, se sì, con quali effetti.

In sostanza, più che al chiarimento sul regime transitorio promesso nella Relazione governativa, si assiste ad una disciplina potenzialmente foriera di nuovi dubbi.

10. Conclusioni.   

Come si è tentato di mostrare, il Correttivo è sicuramente apprezzabile laddove cerca di chiarire alcuni punti incerti e, soprattutto, sviluppa coerentemente la funzione pubblicistica del CCT , imponendo dunque, laddove il CCT sia obbligatorio, che esso si pronunci su tutte le principali questioni che interessano l’esecuzione dell’appalto, e, quindi, in particolare, su tutte le controversie.

Ho avuto già avuto modo di notarlo: ha poco senso un sistema obbligatorio di prevenzione e risoluzione rapida del contenzioso preordinato (anche) all’interesse (pubblico) “alla scelta della migliore soluzione per la celere esecuzione dell’opera a regola d’arte” (art. 215, co. 2), se poi le parti sono libere di non coinvolgere affatto il collegio.

Tuttavia, il Correttivo ha introdotto, nel nuovo art. 216, alcune apparenti distinzioni tra pareri e determinazioni non arbitrali prive di utilità sostanziale ed anzi foriere di incertezze e complicazioni operative. 

Infelice è inoltre la introduzione (sempre nell’art. 216, co. 1) di una necessità di richiesta congiunta delle parti perché si possa avere una risposta di valore arbitrale sulle singole controversie già manifestatesi: sfugge il senso  della prescrizione (si noti, rimasta intatta agli artt. 216, co. 4, 217, co. 1 e, infine, 3, co. 2 e 3, dell’Allegato V.2) per cui la opzione arbitrale deve essere espressa  in sede di costituzione del collegio, se poi la stessa volontà deve essere confermata ogni qual volta sorga una controversia. Se la scelta arbitrale deve essere sempre “ribadita”, tanto varrebbe, anche per evitare condotte opportunistiche delle parti, dire con chiarezza che nessuna scelta per l’arbitrato (o meno) è assunta ab origine.  

Insomma, nessun dubbio che debbono essere rispettati noti principi costituzionali di assoluta e sostanziale volontarietà del ricorso all’arbitrato e quindi di sua ammissibilità solo ove libera manifestazione in senso negativo del diritto di azione avanti ai giudici statuali, ma non si comprende quale sia il problema nel momento in cui si chiede alle parti di prendere posizione sulla via arbitrale (senza costrizioni nemmeno indirette) in sede di costituzione del collegio, in relazione a tutte le future controversie esecutive. Se una simile soluzione fosse davvero in contrasto con lo statuto costituzionale dell’arbitrato, allora, per assurdo, lo sarebbe ogni clausola arbitrale (come contrapposta al compromesso in arbitri).

Sempre l’art. 216 contiene un coordinamento tra CCT e accordo bonario, che pare ammetterne la coesistenza in caso di determinazioni non arbitrali: è da dubitarsi della razionalità di una tale soluzione, visto che, al di là delle incertezze ed imbarazzi che possono nascere da una molteplicità (e difformità) di pareri, anche le determinazioni non arbitrali sono (e rimangono) semi-vincolanti, sicché il sistema rischia di avviarsi verso torsioni logico-giuridiche, della cui desiderabilità è lecito dubitare.

  

 Sul tema, in generale, A. Aniello, Il collegio consultivo tecnico come arbitrato obbligatorio? Spunti di riflessione, in Riv. Arb., 2022, 517 ss.; F. Auletta, Sulle conseguenze possibili e le implicazioni non necessarie dell’opzione in favore della « natura del lodo contrattuale » per le determinazioni del Collegio consultivo tecnico, in Riv. Arb, 2022, 485 ss.; P. Carbone, L’inopinata “resurrezione” del collegio consultivo tecnico, in Riv. Trim. App., 2019, 1135 ss.; P. Carbone, La disciplina del collegio consultivo tecnico dopo il decreto del Mims 17 gennaio 2022 n. 12, Santarcangelo di Romagna, 2022; L. Caruccio, Collegio consultivo tecnico, in Commentario al Codice dei contratti pubblici, a cura di R. Villata e M. Ramajoli, Pisa, 2024, 1002 ss.; A. Cianflone – G. Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, Milano 2021, 2686 ss.; F. Francario, La natura giuridica delle determinazioni del collegio consultivo tecnico, in L’amministrativista, 2021; F. Francario, Il Collegio consultivo tecnico. Misura di semplificazione e di efficienza o inutile aggravamento amministrativo?, in Giustizia insieme, 2022; F. Francario, “To be or not to be”. Il collegio consultivo tecnico. Misura di semplificazione e di efficienza o inutile aggravamento amministrativo?, in L’amministrativista, 2022; F. Francario, Il Collegio consultivo tecnico, organismo atipico di mediazione e di conciliazione in ambito pubblicistico, in Giustizia insieme, 2023; M. Frontoni, Il collegio consultivo tecnico. Commento alle Linee Guida allegate al decreto M.i.m.s. 17 gennaio 2022, n. 12, Santarcangelo di Romagna, 2022;F. Goisis, Il collegio consultivo tecnico come strumento di conciliazione ed arbitrato nell’interesse della celere e esatta esecuzione del contratto, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2024, 47 ss.; F. Goisis, Il collegio consultivo tecnico nella sua veste arbitrale: profili sostanziali e di tutela giurisdizionale, in Giustizia insieme, 2024; F. Goisis, Il collegio consultivo tecnico come forma di arbitrato volontario, in Riv. Arb. 2024, 559 ss.; I. Lombardini, Spunti ricostruttivi sulla disciplina del Collegio Consultivo Tecnico nel nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), in Riv. Arb, 2023, 991 ss.; I. Lombardini, Riflessioni sul nuovo Collegio Consultivo Tecnico negli appalti pubblici, in questa Rivista, 2020, 843 ss.; I. Lombardini, Il difficile presente dell’arbitrato nei contratti pubblici e l’introduzione di altri nuovi rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale: il collegio consultivo tecnico (ex art. 1, commi 11-14 del d.l. 18 aprile 2019, n. 32 coordinato con la legge di conversione 14 giugno 2019, n. 55), in Riv. Arb, 2019 84 ss.; M. Macchia, Alla ricerca di esperti… Rimedi alternativi ed esecuzione dell’appalto, in Giorn. dir. amm., 2024, 19 ss.; A. Maltoni, I collegi consultivi tecnici, in Liber amicorum per Guido Greco, a cura di F.G Scoca, M.P. Chiti e D.U. Galetta, Torino, 2024, 499 ss.; P. Otranto, Dalla funzione amministrativa giustiziale alle ADR di diritto pubblico. L’esperienza dei dispute boards e del collegio consultivo tecnico, Napoli, 2023; C. Volpe, Il Collegio consultivo tecnico. Un istituto ancora dagli incerti confini, in giustizia-amministrativa.it, 2020.

 Senato della Repubblica, Parere della 8ª Commissione permanente del 17 dicembre  2024, in cui si osserva che : “h) con riferimento all’articolo 39 dello schema in esame, considerato che gli appalti dei settori speciali si caratterizzano per un minore livello di contenzioso ed una notevole numerosità di appalti, sarebbe importante considerare queste caratteristiche al fine di rendere il meccanismo gestibile e applicato agli appalti maggiormente rilevanti, rivedendo l’estensione anche ai settori speciali della disciplina del collegio consultivo tecnico, rendendo l’applicazione dell’istituto facoltativa, alla luce della notevole complessità applicativa e operativa che tale applicazione comporta e della necessità di garantire tempistiche di mercato coerenti con la piena apertura concorrenziale dei settori in cui molte imprese pubbliche operano, o, in subordine al comma 1, lettera a), del suddetto articolo 39, dopo le parole: “gli articoli da 215 a 219.” aggiungere le seguenti: “Per le imprese pubbliche e gli enti titolari di diritti speciali ed esclusivi le soglie per l’applicazione della disciplina del collegio consultivo tecnico sono fissate in 25 milioni di euro per i contratti di appalto di lavori e in 15 milioni di euro per i contratti di appalto di forniture e servizi.” e Camera dei Deputati, Parere della VII Commissione del 17 dicembre  2024, in cui si  osserva: “gg) all’articolo 39, comma 1, lettera a), dello schema di decreto, valuti il Governo la possibilità di sopprimere il n. 3), che inserisce la lettera i-bis) all’articolo 141, comma 3, del codice, allo scopo di escludere le aziende operanti nei settori speciali dall’obbligo di istituire il collegio consultivo Tecnico (CCT)”.

 Parere 4 agosto 2023, n. 6962, che aveva tra l’altro valorizzato il “tenore letterale della previsione di cui all’art. 215, comma l, del nuovo codice che si riferisce generalmente ai contratti, comprendendo, pertanto, ogni negozio che sia stato stipulato da una stazione appaltante o da un ente concedente (art. 2, comma l, lettera a), dell’Allegato 1.1. al Codice)”.

 Inserimento espressamente suggerito sia Senato della Repubblica, Parere della 8ª Commissione permanente del 17 dicembre  2024:  “79) all’articolo 2, comma 3, dell’Allegato V.2 – Modalità di costituzione del Collegio consultivo tecnico, come sostituito dall’articolo 84 dello schema in esame, valuti il Governo di inserire dopo le parole: “membri del collegio” la seguente: “esclusivamente” che dalla Camera dei Deputati, Parere della VII Commissione del 17 dicembre  2024 :“xx) all’articolo 84 dello schema di decreto, che sostituisce l’Allegato V.2, recante modalità di costituzione del Collegio Consultivo Tecnico (CCT), valuti il Governo l’opportunità di inserire, all’articolo 2, comma 3, di tale allegato, dopo le parole: «membri del collegio» la parola: «esclusivamente»”.

 Tra le tante, CCa., Sez. II, 13 febbraio 2002, n. 8472; CCa, Sez. II, 25 giugno 2005, n. 13701; CCa., Sez. I, 17 novembre 2022, n.33900.

 ANCE, Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Atto n. 226)Audizione presso le Commissioni Ambiente Camera e Senato, 25: “Non condivisibile è invece la modifica che estende a tutti i componenti del collegio, e non solo al presidente, la causa di incompatibilità relativa “all’aver svolto, con riguardo ai lavori o servizi oggetto dell’affidamento, attività di collaborazione nel campo giuridico, amministrativo o economico” per una delle parti. Anche in ragione della non esatta definizione dell’ambito di operatività della previsione, si corre il rischio di escludere da qualunque incarico di parte i professionisti che abbiano già in corso un rapporto di fiducia professionale con l’impresa ed abbiano, pertanto, maturato, rispetto a specifici appalti, una forma di esperienza. Sarebbe quindi opportuno confermare la normativa vigente, circoscrivendo tale causa di incompatibilità al solo presidente del Collegio, che assolutamente deve essere figura terza e imparziale”.

 Senato della Repubblica, Parere della 8ª Commissione permanente del 17 dicembre  2024, in cui si propone la seguente osservazione: “80) all’articolo 2, comma 3, dell’Allegato V.2 – Modalità di costituzione del Collegio consultivo tecnico, come sostituito dall’articolo 84 dello schema in esame, valuti il Governo di inserire all’inizio della lettera c) le seguenti parole: “con riferimento al presidente del collegio“.

  Tra gli altri, C. Consolo, La ricusazione dell’arbitro, in Riv. arb. 1998, 17 ss. e L. Salvaneschi, Sull’imparzialità dell’arbitro, in Riv. Dir. Proc., 2004, 428 ss..

 CCa,, Sez. I, 11 febbraio 2015, n. 2664.

 T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 11 novembre 2024, n.1582.

 Sul tema sia consentito il rinvio a F. Goisis, Il collegio consultivo tecnico nella sua veste arbitrale, cit.

 Senato della Repubblica, Parere della 8ª Commissione permanente del 17 dicembre  2024, in cui si propone la seguente osservazione:: “81) all’articolo 5, comma 1, dell’Allegato V.2 – Modalità di costituzione del Collegio consultivo tecnico, come sostituito dall’articolo 84 dello schema in esame, valuti il Governo di sostituire il primo periodo con il seguente: “Ogni componente del Collegio Consultivo Tecnico non può ricoprire più di dieci incarichi contemporaneamente e, comunque, non può svolgere più di venti incarichi ogni due anni”, in quanto la limitazione a cinque del numero massimo di incarichi che è possibile assumere contemporaneamente rende estremamente difficile l’individuazione e la designazione dei membri che devono possedere particolari competenze nella materia”.

 Sul tema, vedi la Delibera ANAC 8 maggio 2024 n. 231, che sembra ritenere sciolto il CCT con la risoluzione per grave inadempimento, salva la possibilità di revoca in autotutela delle delibera di risoluzione, con conseguente operatività del CCT.

In senso coerente Delibera ANAC, 7 luglio 2021, n. 532: “Devono ritenersi insussistenti i presupposti per il ricorso al Collegio Consultivo Tecnico di cui agli artt. 5 e 6 del d.l. 76/2020, conv. in l.n. 120/2020, nel caso in cui il contratto d’appalto sia riferito ad un’opera ultimata, consegnata e già in esercizio, ancorché in attesa della conclusione del collaudo, nonché nel caso in cui sia in corso la risoluzione del contratto d’appalto per impossibilità sopravvenuta, con conseguente non realizzabilità dell’opera

 Sul tema, M. Frontoni, op. cit., 90, ove, nel trattare nella identica previsione di cui al par. 4.1.3 delle Linee Guida 2022, osserva che: “La sanzione colpisce, dunque, le sole determinazioni, per cui dovrebbe ritenersi che eventuali “pareri” emessi in assenza di quesito delle parti rientrino, invece, nei poteri del CCT”.

 Parere 01463/2024, reso nell’Adunanza della Commissione speciale del 27 novembre 2024 e pubblicato il 2 dicembre 2024.

 Sul tema, rimando, se si vuole, a F. Goisis, Il collegio consultivo tecnico come forma, cit.

 Per tutte, A. Aniello, op. cit.

 In questo senso anche L. Caruccio, Collegio, cit., 1008.

 “L’inosservanza delle determinazioni del collegio consultivo tecnico viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali; l’osservanza delle determinazioni del collegio consultivo tecnico è causa di esclusione della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, salvo il dolo”.

 Parere 6 dicembre 2024, n. 43081: “per il valore dell’appalto si intende l’importo a base di gara ed i costi della sicurezza. Tuttavia, ove vengano esercitate le opzioni, vanno considerati gli incrementi ai fini del compenso dei componenti CCT”.

 Parere 7 giugno 2024, n. 30: “l’importo da prendere a base di calcolo per la determinazione dei compensi del collegio consultivo tecnico è quello risultante dal contratto, che deve essere aggiornato, come previsto al punto 7.2.2. delle sopra citate linee guida, in caso di varianti contrattuali”.

 L’art. 1, co. 4, dell’Allegato V.2 prevede difatti dei nuovi limiti percentuali per gli appalti di massimo valore, ossia superiori a 1 miliardo di euro: “a) in caso di collegio consultivo tecnico composto da tre componenti, l’importo pari allo 0,02 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 1000 milioni di euro; b) in caso di collegio consultivo tecnico composto da cinque componenti, l’importo pari allo 0,03 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 1000 milioni di euro”.

 Critico, sul punto, E. A. Apicella, Il Collegio Consultivo Tecnico (CCT) dopo il correttivo al Codice Appalti, in www.lavoripubblici.it/

 F. Goisis, Il collegio consultivo tecnico nella sua veste arbitrale, cit.



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