Si torna a parlare di fine vita dopo l’accelerazione della Toscana, prima Regione d’Italia a garantire tempi e modalità per accedere al suicidio assistito. Forse avrete letto alcune delle polemiche divampate tra favorevoli e contrari; ma se, come spesso accade in italia, sui temi di bioetica le sensibilità possono essere diverse, può essere utile ricordare che il diritto al suicidio assistito non è in discussione. E questo dal 2019, quanto a intervenire sulla materia è stata la Consulta, con una sentenza storica che chiamava il Parlamento a stabilire, appunto, tempi e modi.
Dalla sentenza Cappato/Antoniani, sono passati 5 anni: il suicidio assistito non è più reato, a patto che la malattia sia irreversibile, sia fonte di sofferenze fisiche e psicologiche insopportabili, il paziente sia pienamente consapevole e benefici di trattamenti di sostegno vitale. Ma su tempi e modi poco o nulla si era mosso a livello nazionale. Così la Toscana è stata apripista, bypassando il Parlamento con una scelta contestata da più parti. Tanto che, come ricorda il Sole 24 Ore, il Governo si riserva di valutare la legge e di impugnarla, “qualora – spiegano al quotidiano fonti dell’Esecutivo – si ravvisino norme in contrasto con la Costituzione”.
Tra l’altro, in assenza di una normativa nazionale, anche un tema come il fine vita può alimentare le disuguaglianze. Ma vediamo meglio cosa prevede la prima legge regionale in materia, fortemente osteggiata dai gruppi pro-vita.
Suicidio assistito, la storia di Anna e il diritto di scegliere
Commissione medica e le tempistiche
Il testo prevede l’istituzione di una Commissione medica multidisciplinare – formata da un medico palliativista, un neurologo, uno psichiatra, un anestesista, un infermiere e uno psicologo – presso ciascuna azienda sanitaria, che dovrà verificare se esistono le condizioni per l’accesso del malato al suicidio assistito e scegliere le modalità di esecuzione. L’ultima parola spetterà al Comitato etico territoriale previsto dalla Consulta.
Quanto ai tempi, sempre il ‘Sole 24 Ore’ segnala un dibattito piuttosto intenso. Alla fine si è concordato un termine di 37 giorni, di cui 20 giorni per la Commissione multidisciplinare per verificare i requisiti; 10 per definire le modalità del suicidio; 7 per assicurare il supporto tecnico, farmacologico e sanitario per assumere il farmaco.
I precedenti
Se la Toscana è arrivata per prima, il Veneto non ci era riuscito per un soffio. Finora – in assenza di una legge nazionale che regoli la materia – le Asl nei casi di suicidio assistito già registrati in Italia si sono mosse in ordine sparso. La legge regionale è stata presentata dall’Associazione Luca Coscioni, che si batte da anni per il risconoscimento di questo diritto.
Quando si pensa al fine vita, il ricordo va a Dj Fabo, accompagnato a morire in Svizzera da Marco Cappato, ma anche a Eluana Englaro, la giovane donna che – in seguito a un incidente stradale avvenuto il 18 gennaio 1992 – ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte avvenuta al termine di una lunga battaglia legale.
Proprio la composta fermezza del padre di Eluana, Beppino Englaro, ha portato alla legge sul testamento biologico del 2017, che ha introdotto in Italia il diritto a indicare – attraverso le disposizioni anticipate di trattamento – le procedure sanitarie che si vogliono ricevere se ci si dovesse trovare in condizione di non poter comunicare la propria volontà. “Io all’epoca di Eluana ero solo e se penso cosa mi hanno combinato in quegli anni, ho trovato il deserto. Ma da allora c’è stata una evoluzione culturale e il Paese è maturato”, ha detto Beppino Englaro parlando con Adnkronos Salute. “Serve però una risposta del Parlamento. E’ arrivato il momento”.
I rischi
In molti in queste ore chiamano in causa le cure palliative, terapie fondamentali per assicurare risposte ai bisogni dei malati terminali. Ma per casi come quelli di Dj Fabo, o della stessa Eluana Englaro, non è questo il tema. È importante, però, che sia il Parlamento a pronunciarsi, garantendo tempi e modi uniformi e dunque regolamentando il fine vita in tutto il territorio nazionale, seguendo i criteri stabiliti dalla Consulta. Il rischio, altrimenti, è quello di alimentare intollerabili disuguaglianze.
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