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E’ una proposta di legge ad iniziativa popolare per la quale, come previsto dall’ art. 71, comma II, Cost., occorrono almeno cinquantamila elettori che, nell’era della tecnologia, sono chiamati a sostenerla mediante sottoscrizione elettronica per mezzo di SPID, CIE (con Pin e Puk) ovvero CNS recandosi sul sito del Ministero della Giustizia, alla sezione “referendum e iniziative popolari” di cui al seguente link.
La proposta di legge all’esame, che mira a garantire condizioni di vita dignitose ed umane alle vittime di errori giudiziari e di ingiuste detenzioni nelle more dei procedimenti per la quantificazione del danno sofferto, si rende necessaria per supplire all’ennesima distorsione che attanaglia il nostro sistema giudiziario. Ed infatti può capitare – e purtroppo capita – che persone come Beniamino Zuncheddu e Giuseppe Gulotta – assolti rispettivamente dopo 33 e 22 anni di carcere – o Nunzio De Gennaro – assolto dopo 10 anni di processo e 6 mesi di ingiusta detenzione – e molti altri, debbano attendere anche fino a 10 anni per poter incassare il risarcimento dovuto.
E nel frattempo?
Occorre chiedersi di che possa vivere una persona che torni libera dopo aver sofferto il carcere – tra l’altro ingiustamente – per 30, 20, 10, 5 anni ma fossero anche 5 mesi, se quando esce non abbia di che camparsi né qualcuno che lo possa sostenere. Chiunque si occupi di carcere e di sociale conosce bene l’ ingombranza e il peso della stigmatizzazione da carcerazione ai fini del reinserimento sociale e lavorativo dove poco importano le ragioni della scarcerazione e la durata della pena poiché quel che prevale è il carcere che, invece, rimane impresso a vita. Ed invero chi al carcere è sopravvissuto, ha dovuto auto-infliggersi dolorosi processi di deumanizzazione e di desocializzazione necessari per sopravvivere in cattività. Processi che senz’altro non si interrompono da un giorno all’altro per il solo fatto di essere fuori. Tornare a gestire la propria libertà individuale all’interno di una società piuttosto spietata, com’è la nostra, magari dopo aver trascorso in carcere gli anni migliori della vita, non è cosa semplice ed infatti non è un caso che, tra le categorie vulnerabili, il nostro sistema di welfare (che fa acqua da tutte la parti) includa altresì i detenuti e gli ex detenuti allineandosi, almeno sulla carta, al diritto sovranazionale.
Alla luce di queste considerazioni e in forza dell’art. 3, comma II, Cost., appare allora del tutto evidente che compito dello Stato debba essere quello di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, di fatto, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Ebbene, se è vero com’è vero quanto dichiarato dal Costituente, è palesemente dovere dello Stato far sì che chi esca dal carcere, soprattutto a seguito di assoluzione conseguente al riconoscimento di un errore dello Stato stesso, errore giudiziario o ingiusta detenzione che sia, possa riprendere a vivere da uomo libero con la dignità che gli spetta.
Purtroppo, invece, questa forma di restituzione che – a parere di chi scrive dovrebbe essere immediata ed automatica trovando le sue radice nel rapporto ontologico tra cittadino e Stato – non sempre arriva in tempo utile. E’ chiaro, infatti, che un risarcimento che arrivi dopo 3, 5, 10 anni è assolutamente tardivo e, a mio avviso, inaccettabile riguardasse anche uno solo tra noi. E’ una forma di violenza istituzionale che non può che alimentare forme di vittimizzazione secondaria e quanto di peggio si possa immaginare.
Inoltre, per chi se lo chiedesse, sono circa 1000 le persone che ogni anno subiscono una ingiusta detenzione e in media 7 all’anno gli errori giudiziari, con una spesa in risarcimenti stimata annualmente in oltre 2,7 milioni di euro. Numeri esorbitanti sia se li si guardi in riferimento alle persone, al male e alla devastazione che questi orrori portano nelle vite di individui e famiglie; sia se li si guardi in riferimento al loro costo che incide non marginalmente sulla spesa pubblica.
Trattasi indubbiamente di uno scenario apocalittico che lo Stato dovrebbe arginare con gli strumenti che ha a disposizione, ad esempio velocizzando i processi di quantificazione del danno ovvero introducendone di nuovi.
In questa situazione di staticità ingombrante, si inserisce la proposta di legge Zuncheddu&altri che propone di prevedere una provvisionale economica a favore di chi, al termine di un processo, viene prosciolto a seguito di ingiusta detenzione o errore giudiziario. Questa provvisionale si declina in una rendita mensile provvisoria ed immediatamente esecutiva pari al doppio dell’assegno sociale (il cui importo per il 2025 è fissato a 6.947,33 euro annui, pari a 13 mensilità da 534,41 euro l’una) a valere sui fondi della Cassa delle Ammende.
E’ chiaro che si tratta di una proposta finalizzata, più che altro, a sollecitare lo Stato ad agire e ad occuparsi di questa distorsione intollerabile del nostro sistema Giustizia che inevitabilmente solleva altre problematiche ad essa collegate, come la responsabilità civile diretta dei magistrati e i limiti agli abusi della custodia cautelare, per non parlare dell’universo carcere con i suoi detenuti e detenenti.
PER SOSTENERE QUESTA PROPOSTA DI LEGGE E’ NECESSARIO E SUFFICIENTE:
– DOTARSI DI SPID, CIE (con PIN e PUK) o CNS;
– ACCEDERE ALLA SEZIONE “REFERENDUM E INIZIATIVE POPOLARI” del Ministero della Giustizia;
– SOTTOSCRIVERE LA PROPOSTA (cliccando su “SOSTIENI”);
– SALVARE L’ ATTESTATO DI SOTTOSCRIZIONE.
Angela Furlan, legale, membro del Consiglio Generale del Partito Radicale
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